William Burroughs, Junky, Adelphi, 2023
Molti l’avranno già letto in versione italiana con il titolo La scimmia sulla schiena. Il primate chimico che si aggrappa alle spalle del tossico è il modo usato da William Burroughs per evocare l’astinenza da eroina, protagonista assoluta del romanzo. Con questa cruda intitolazione era uscito in Italia presso Rizzoli, presentato autorevolmente da Fernanda Pivano. Ora torna nelle librerie grazie ad Adelphi con il nome originario:Junky. L’edizione comprende una ricca introduzione del curatore dell’edizione finale, Oliver Harris, varie prefazioni scritte a suo tempo da Allen Ginsberg (colui che più di tutti spinse Burroughs a scrivere professionalmente) e ancora pagine del suo primo editore Carl Solomon, l’artefice del successo del libro. Inizialmente pubblicato con lo pseudonimo di William Lee nel 1953 in una collana di pulp gialli. Il libro ha una scrittura diritta e non produce fronzoli nel raccontare il rapporto del tossico con la sua “scimmia”. L’analisi è oggettiva, la lucidità quasi da medico nell’osservazione dei sintomi, delle crisi di astinenza, dei tentativi abortiti di smettere, delle sostanze che possono in qualche modo alleviare “la rota”. La scrittura “nuda” ha fatto arricciare il naso a molti critici che non riconoscono né lo stile dell’autore maturo,né l’adesione alla poetica beat. Il protagonista è volutamente “non letterario” come nota Oliver Harris: cita personaggi appartenenti al mondo della pop culture, attori, cantanti leggeri, personaggi dello stardom americano divertenti come George Raft, Jimmy Durante, Louis Armstrong. Nulla di troppo intellettuale o raffinato deve distrarre il lettore dalla discesa negli inferi della dipendenza. Compaiono tutti i gradini: l’abuso, lo spaccio, la prigione, i tentativi di disintossicarsi, le ricadute, gli stratagemmi per procurarsi la dose…Tutti i passi sono percorsi con una scrittura asettica. La vita del tossico ruota intorno alla primaria necessità di fare rifornimento o a quella di smettere. Lo spazio per il resto è davvero poco. La musica aiuta un sacco quando sei a rota. Una volta in Texas mi ero disintossicato grazie all’erba, una pinta di paregorico e qualche disco di Louis Armstrong. Il buon vecchio Satchmo, come è risaputo, privilegiava l’erba; nel jazz l’eroina fu la droga della rivoluzione bebop. La tragica figura di Charlie Parker illuminò definitivamente questo aspetto. Nel libro anche questo è spiegato nel dettaglio. I tossici hipster be-bop non si facevano mai vedere nella Centotreesima. I ragazzi della Centotreesima erano tutti della vecchia guardia: facce smunte e giallognole, bocche contorte dal rancore, dita rigide, gesti stilizzati. La vita del junky non è facile e non è per niente romantica, ci dice Burroughs che consegna alla storia un libro immortale nella sua semplicità.